di Cristina Madini e Stefania Santi
Biblioteca
Elsa Morante
Via
Adolfo Cozza, 7
12
- 29 gennaio 2008
vernice
sabato 12 ore 11,00
infoline:
06-5611815 338-4947327
ingresso
libero
curatori:
Cristina Madini, Tiziana di Bartolomeo, Stefania Santi
orari
apertura:
lun
mar mer 9-13/15-19
giov
ven 9-19
sab
9-13
Visualizzazione ingrandita della mappa
Fantastico non vuol necessariamente dire impossibile; il sogno non è antitesi della veglia né l’artista lo è rispetto alla persona comune.
Solo quando troppo la nostra vita si fa dipendente dalle scadenze, dalla
programmazione, dalle ambizioni immediate si apre un baratro con lo spazio del
fantastico perché quella libertà di sognare sembra un lusso pericoloso,
improduttivo.
Cristina e Stefania sanno percorrere lo stretto filo che sospeso sopra il
paesaggio quotidiano che sembra immutabile, quello fatto di consuetudini e
percorsi obbligati. Passando così alte sopra tutto questo mondo (che è quello
che ben conosciamo quando non ci sostiene lo slancio della fantasia) forse
possono provare una certa vertigine, la paura di precipitare dentro la realtà
che stanno superando con tanta leggerezza. Questo è senza dubbio il rischio di
chi si porta in alto, come se l’invidia di ciò che è pesante potesse far
vacillare quell’ardita traversata sul filo.
Per noi spettatori, non c’è rischio, tuttavia, perché i dipinti in
mostra sono come il resoconto di esplorazioni felicemente portate a termine.
Possiamo semmai entusiasmarci per questo gioco del superamento dei limiti che la
mediocrità sempre vorrebbe porre all’animo umano e, in proprio, tentare
qualche passo di danza interiore.
Cristina Madini
Secondo
un’altra versione del mito, nel Vaso di Pandora (scoperchiato incautamente),
invece di una raccolta di guai vi erano i doni che gli dei avrebbero potuto fare
all’umanità ma che, con l’imprudente decisione dettata dalla curiosità, si
persero per sempre.
Se
immaginassimo l’artista come creatura dotata di una sensibilità particolare
atta a percepire queste grazie che, ormai ineffabili, aleggiano ancora nel
mondo, ci si formerebbe l’impressione che le opere di tale sciamano dovessero
essere in qualche modo legate all’atto di tentare l‘impossibile cioè di
fissare entro limiti ben definiti quello che ha come destino di sfuggirci
sempre. Come fermare la nostalgia per qualcosa che forse si
rivelato proprio al m omento di perderla? Come dare corpo al desiderio
per ciò che ci manca quando solo avendola potremo veramente riconoscerla? Come
estrapolare dal piccolo giro delle cose quotidiane quel segreto rimuginare di
affetti che prende corpo nei sogni?
Cristina
Madini si applica a ricevere queste lievi indicazioni che il vivere ci offre per
dare loro un posto d’onore e non semplicemente l’attenzione di un attimo
soprappensiero. La sua pittura dalla grammatica semplice ha la stessa sintassi
diretta delle fiabe e, come le favole, alcuni punti fermi che sempre ritornano
perché sono immagine dei nostri percorsi interiori. L’uso del colore è
schietto e, quindi, anche disinibito; i titoli a volte conferiscono ai dipinti
la natura intermedia di poesie concrete e le serie di quadri permettono, nel
caso di esposizioni, di ottenere quella dilatazione nel tempo che possiede
l’evento teatrale.
Come
si vede, la pittura di Cristina Madini tende a farsi quasi comportamento, come
un abito si attaglia all’artista accompagnandola
nelle varie dimensioni dei suoi interessi che, evidentemente, l’artista non
desidera confinare nella specializzazione ma ama estendere a tutte le occasioni
del vivere comprendendo, fra queste, anche il rapporto con lo spettatore non
ancora conosciuto ma già interpellato dal suo invito.
Stefania
Santi
Gli
oggetti non sono persone, i nomi non sono cose reali né le immagini si
identificano con ciò che descrivono eppure gran parte del fascino dell’arte
si fonda su quest’ambiguità: noi ci prestiamo a vedere, dietro i segni, le
cose vere.
L’emozione
della pittura che Stefania Santi sta praticando si fa strada attraverso i limiti
del mezzo tecnico (la tela piatta), i limiti fisici dei colori (che non possono
farsi vera luce come il colore, in fondo, è) e l’enigma degli oggetti.
In
mancanza di persone fisiche, nei suoi quadri tutta l’aspettativa dello
spettatore si concentra sulle cose e questa, come se altro non aspettassero,
sprigionano la loro intima carica di suggestione. Nel silenzio, come si dice
poeticamente, si sente crescere anche l’erba, si scopre che l’universo ha
un’inesauribile vitalità che si ripropone ad ogni livello di indagine,dal
microscopico a quello infinito. Anche la nostra anima non si contenta di restare
chiusa nello spazio angusto di situazioni e sentimenti ben noti, deve provare la
libertà di posarsi su tutto e ricevere da tutto una risposta in termini che
essa comprenda.
Nei
piccoli universi di Stefania Santi la difficoltà di interrogare le cose viene
semplificata dal lavoro dell’artista che è quello di elaborare già in
partenza i dati oggettivi per cominciare a far trasparire la loro carica di
sentimento che può essere amorevole oppure enigmatico, può dare la felice
sensazione di riappropriarsi di un ricordo oppure si offre come premonizione. La
realtà degli oggetti, dunque, si trasforma in una soglia che è possibile
varcare, il muro diventa sipario.
Il
quest’opportunità di recuperare la ricchezza di senso lo spettatore, senza
accorgersene, sente tonificarsi il suo rapporto con la realtà, come se, di
fronte ad una folla anonima, gli individui che incontriamo cominciassero a
rivolgerci la parola in modo familiare.
Gianluca
Tedaldi